In data 15 agosto 2020 è stato presentato dal Ministero dell’Interno il: Dossier Viminale.

Si tratta di un rapporto annuale che offre un efficace quadro di carattere sinottico circa lo stato della sicurezza nel territorio italiano e rispetto agli interventi posti in essere dalle Forse dell’Ordine.

Il panorama temporale preso in esame dal Dossier spazia dal 1 agosto 2018 al 31 luglio 2020, consentendo anche una visione di carattere diacronico dell’argomento.

La parte che ci interessa maggiormente, e che intendiamo utilizzare come spunto per introdurre le considerazioni che seguiranno, è ubicata sotto il capitolo denominato: Delittuosità.

I dati numerici

Il totale dei delitti registrati (o meglio, delle notizie di reato registrate; ed in seguito vedremo l’importanza di tale distinzione) nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 2.338.073.

Il totale dei delitti registrati (o meglio, delle notizie di reato registrate) nel periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020 è pari a 1.912.334.

In prospettiva diacronica, da un anno con l’altro, si rileva una diminuzione di 425.729 unità pari al -18,2%.

Per quanto concerne i tipi di reati, possiamo riportare i dati relativi alle violazioni forse più comuni e che possono destare un certo allarme sociale: omicidi volontari, rapine. Furti, truffe e delitti informatici.

Gli omicidi

Il totale degli omicidi volontari registrati nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 334 | 28 dei quali attribuibili ad attività della criminalità organizzata, e 152 dei quali verificatisi in ambito familiare/affettivo.

Il totale degli omicidi volontari registrati nel periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020, invece, è pari a 278 | 19 dei quali attribuibili ad attività della criminalità organizzata, e 149 dei quali verificatisi in ambito familiare/affettivo.

Quindi, da un anno con l’altro, si rileva una diminuzione di 56 unità pari al -16,8%.

Le rapine

Il totale delle rapine registrate nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 25.588.

Mentre, per il periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020, il totale delle rapine registrate è pari a 20.193.

Da un anno con l’altro, si rileva pertanto una diminuzione di 5.395 unità pari al -21,1%.

I furti

Il totale dei furti registrati nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 1.117.855.

Per il periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020 si registra invece un totale di 820.274 furti.

Una diminuzione, da un anno con l’altro, 297.581 unità pari al -26,6%.

Le truffe

Il totale delle truffe registrate nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 134.535 | 73.942 delle quali individuate come frodi informatiche attività della criminalità organizzata, e 21.289 delle quali aventi vittime over 65 anni.

Per il periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020 abbiamo invece un totale di truffe registrate pari a 119.355 | 82.842 delle quali individuate come frodi informatiche attività, e 17.685 delle quali aventi vittime over 65 anni.

Da un anno con l’altro, si rileva una diminuzione di 15.180 unità pari al -11,3%.

I reati informatici

Il totale dei reati informatici registrati nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 è pari a 120.355.

Mentre per il periodo 1 agosto 2019-31 luglio 2020, il totale dei reati informatici registrati è pari a 144.474.

Rispetto al periodo precedente si rileva pertanto un aumento di 24.119 unità pari al +20%.

Una chiave interpretativa dei dati numerici

In che termini possiamo commentare i dati che vengono proposti?

Per quanto concerne la delittuosità generale si può rilevare un cospicuo decremento ricollegabile, da un lato alla diminuzione generale del livello dei reati che si registra in Italia da ormai diversi anni, d’altro lato attribuibile e accostabile al lockdown Covid – 19 (9 marzo – 3 giugno 2020), periodo in cui si è registrato un notevole calo della mobilità sociale e delle attività umane e, per conseguenza, anche un calo dei delitti (che rientrano a pieno titolo nelle attività umane). Questo decremento, che si colloca in un periodo di tempo abbastanza consolidato, si pone in netto conflitto con il fenomeno della crescente inquietudine e della crescente paura del crimine che si rileva nella opinione pubblica italiana, sempre più convinta che il numero dei delitti stia crescendo in modo incontrollabile. 

Gli omicidi, già poco numerosi in Italia – che si conferma caratterizzata da un tessuto sociale non particolarmente incline alla violenza omicidiaria – ha conosciuto un netto calo. In particolare, gli omicidi ricollegabili alla criminalità organizzata (mafia ed altri sodalizi analoghi) sono, per fortuna, a livelli esigui: 28 nel 2018/2019 e 19 nel 2019/2020. La ragione di ciò non è da individuarsi nella scomparsa o nella avvenuta debellazione del fenomeno mafioso, bensì nel rinnovato modus operandi delle associazioni criminali, che sembrano aver preso le distanze dall’adozione degli interventi violenti per rivolgere le loro attenzioni nei confronti di transazioni commerciali e finanziarie borderline mediante l’impiego (ed il riciclaggio) di capitali accumulati attraverso il compimento di illeciti.

Anche le rapine registrano un calo meritevole di considerazione.

Indubbiamente la rapina costituisce un evento di carattere traumatico che si realizza mediante l’incrocio della aggressione al patrimonio e la aggressione nei confronti della persona e della sua libertà fisica e morale.

Il motivo per il quale la numerosità delle rapine conosce una flessione degna di menzione può essere individuato in diversi tratti fattoriali, che vanno dalla ridotta disponibilità di denaro contante negli esercizi pubblici, al miglioramento dell’efficacia dei dispositivi difensivi attivi e passivi, alla difficoltà, per l’offender, di eclissarsi in sicurezza dopo il fatto.

I furti, da tempo, conoscono una curva decrescente. E questo è un dato che viene confermato anche dalla quantificazione contenuta nel Dossier.

Non esiste una sola ragione che possa sostenere la diminuzione degli eventi furtivi, possiamo semmai parlare di una spiegazione di carattere multifattoriale. È necessario considerare che, innanzitutto, il furto rappresenta un evento criminale non unitario e tende a verificarsi in modalità complesse e molto diverse a seconda dei luoghi, dei tempi, delle difese approntate, dei beni sottratti, delle motivazioni che hanno spinto l’offender ad agire e delle condizioni della vittima. Pertanto, la progressiva flessione della loro numerosità deve essere compresa attraverso strumenti concettuali che tengano presenti tutte le variabili anzidette.  

Ciononostante, la convinzione comune tende a cadere in una duplice distorsione percettiva: da un lato si concepisce il furto come un reato sostanzialmente unitario che, spesso, prevede protagonisti (attivi e passivi) fissati in cliché stereotipati e circostanze predeterminate; d’altro canto si continua a ritenere che i furti (specie quelli in abitazione) siano in continuo aumento, con incremento di ansia e timore per i propri beni, la propria casa e la propria incolumità.

Per quanto riguarda le truffe, anche queste in relativa flessione nella loro numerosità, è necessario svolgere considerazioni differenti rispetto a quelle spese per i furti. Se il furto è un evento manifesto, temuto e traumatico, un evento che si realizza attraverso una violazione diretta, materiale e violenta della propria intimità; la truffa, invece, colpisce il patrimonio in modo subdolo e non invasivo e richiede, sotto certi aspetti, per la sua verificazione la collaborazione inconsapevole della vittima. Per questo motivo la fattispecie della truffa presenta aspetti di ambivalenza che talvolta la pongono e la fanno percepire collocata in un ambito di rilievo contrattuale e consensuale; ed è anche che, per questo motivo, che le rilevazioni statistiche circa le frodi non sempre risultano essere attendibili e aderenti alla realtà. Può infatti verificarsi che le truffe non vengano portate a conoscenza della Autorità Giudiziaria, sia perché i fatti truffaldini non vengono percepiti dalla vittima come delitto e vengono ricondotti ad un innocuo alveo contrattuale; e sia perché è la stessa vittima che può esperire un senso di vergogna e temere rimproveri per aver ceduto all’inganno.

È da tenere in considerazione un dato che si pone in controtendenza. Il Dossier infatti registra un picco del + 12%, nel corso dell’ultimo biennio, di denunce relative a truffe informatiche. L’incremento non è di facile spiegazione: possiamo comunque ipotizzare che le attività fraudolente via internet abbiano conosciuto, nel periodo del lockdown Covid – 19, un aumento a causa del maggior tempo trascorso dalle persone in casa e on line.

All’aumento delle truffe on line corrisponde l’incremento notevole dei delitti informatici (+ 20% nel biennio). Bisogna innanzitutto distinguere: le frodi informatiche, solitamente, consistono in truffe contrattuali che utilizzano il medium della rete telematica per la conclusione di affari (generalmente compravendite o investimenti) svantaggiosi o vessatori per una delle parti. I delitti informatici, invece, pur utilizzando la rete si realizzano attraverso il danneggiamento o l’intrusione in altrui sistemi informatici o telematici.

Leggere le statistiche criminali

Rispetto alle statistiche criminali è necessario svolgere due considerazioni che possono svolgere il ruolo di premesse interpretative: specialmente allo scopo di fornire una chiave più adeguata dei numeri che sono stati presentati.

Statistiche criminali e statistiche giudiziarie

La prima considerazione prende le mosse dall’assunto in base al quale, tutte le segnalazioni registrate all’interno del capitolo denominato Delittuosità sono da riferirsi alle denunce di reato rivolte dai testimoni o dalle vittime agli organi di Polizia; o i rapporti di reato redatti dagli stessi appartenenti degli organi di Polizia.

La conseguenza di ciò è che, non necessariamente, tutte le denunce e tutti i rapporti che sono stati quantificati giungeranno ad un accertamento giudiziario di colpevolezza, ovvero non saranno accertati come reato, a seguito di un formale processo. In altre parole: a non tutte le denunce e a non tutti i rapporti di Polizia, corrisponderà necessariamente una responsabilità penale in capo all’offender.

In diversi casi, infatti, il Magistrato del Pubblico Ministero (il Procuratore della Repubblica o i suoi Sostituti) potrà chiedere al Giudice per le Indagini Preliminari l’archiviazione della notizia di reato per la impossibilità di identificare il responsabile, o di identificare la persona nella quale svolgere le indagini. Si tratta della fattispecie di denuncia contro ignoti, che rappresenta una eventualità da tenere in conto poiché, non sempre, sia per la natura del reato, che per le sue concrete modalità di attuazione risulta possibile potersi risalire ad un soggetto da sottoporre a indagini.

In altri casi, durante lo svolgimento delle indagini, il Magistrato del Pubblico Ministero potrà anche chiedere (sempre al Giudice per le Indagini Preliminari) l’archiviazione della notizia di reato per sua infondatezza: accade infatti che non tutte le segnalazioni relative ad un evento penale siano fornite del necessario supporto argomentativo, sia da un punto di vista probatorio e fattuale, che da un punto di vista della concreta configurabilità di un reato vero e proprio. (In molte circostanze, infatti, tali segnalazioni possono essere ricondotte a fattispecie – specie in relazione ad eventi che offendono il patrimonio – di meri illeciti civili.

Anche qualora venga incardinato un vero e proprio procedimento penale, la notizia di reato non sarà necessariamente destinata ad essere confermata da una sentenza che contiene una responsabilità penale e l’accertamento storico di un reato. Il processo penale, infatti, può trovare il proprio epilogo in una pronuncia di assoluzione a favore dell’imputato (con diverse formule), oppure in una sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato (decorso del tempo).

Oltretutto è necessario considerare che una certa quota delle notizie di reato relative ad eventi di carattere bagatellare potrebbe trovare soluzione conciliativa mediante il risarcimento del danno (o le condotte riparative) cagionato dall’offender, con conseguente remissione della querela da parte della vittima.

In conclusione.

Le considerazioni sopraesposte sono sufficienti per consentirci di affermare che i numeri che sono riportati all’interno del Dossier, relativi alle denunce e ai rapporti indicati nel capitolo Delittuosità, non corrisponderanno necessariamente ad altrettante dichiarazioni di responsabilità penale e di accertamento di un reato – che, quindi, saranno verosimilmente di numero minore.

Quindi: possiamo, con una certa approssimazione, affermare che i numeri portati dal capitolo Delittuosità potranno essere riferiti, in parte, ad eventi che saranno accertati e qualificati, in seguito, come criminali, ma anche in parte, potranno cadere in altri ambiti giuridici o cadere nella irrilevanza.

Statistiche criminali e il Dark Number del crimine

La seconda considerazione è relativa ad argomenti non incentrati sul discorso giudiziario (come quelli sopra evidenziati), ma si ricollega a coordinate di carattere criminologico o sociologico.

È fondato sostenere che i numeri riportati al capitolo Delittuosità non sono in grado di rappresentare tutti gli eventi criminali avvenuti (o percepiti come tali) nell’unità di tempo e all’interno del nostro territorio. Per essere più precisi: è fondato ed assodato considerare che, una certa quota parte degli eventi delittuosi effettivamente verificatisi, presenteranno una numerosità superiore a quelli registrati dal Dossier del Ministero dell’Interno.

Ci troviamo qui di fronte al noto fenomeno del Dark Number del crimine, per il quale diversi eventi delittuosi sfuggiranno alla rilevazione ed alla quantificazione statistica e saranno risucchiati in un cono d’ombra che impedirà la loro evidenza e la loro trattazione.

Le ragioni del Dark Number del crimine

Le ragioni del Dark Number, che impediscono la formalizzazione di una denuncia, sono abbastanza note ed eterogenee e si ricollegano e sono spiegabili con gli argomenti che seguono:

  • si può ipotizzare il verificarsi di un disinteresse e di una indifferenza in capo a di colui che ha assistito ai fatti delittuosi,
  • si può altresì prendere in considerazione il disinteresse e l’indifferenza che può provare la vittima nei confronti del pregiudizio subito,
  • si può registrare, in capo a chi ha assistito ai fatti e in capo alla vittima, il timore di ritorsioni da parte dell’offender in caso di denuncia,
  • la vittima, talvolta, tende a coprire l’offender, specie quando vive a stretto contatto con lui o quando appartiene alla sua cerchia sociale o al suo ambiente,
  • possono verificarsi minacce e pressioni da parte dell’offender, nei confronti di chi ha assistito e nei confronti della vittima affinché gli stessi non denuncino i fatti criminosi alle Forse dell’Ordine,
  • la persona che ha assistito ai fatti e la vittima possono nutrire sfiducia e diffidenza nei confronti dei membri della Polizia e della Magistratura. Questi sono i casi di persone che vivono in condizione di alienazione sociale, marginalità, clandestinità o versano in altra situazione illecita,
  • la persona che ha assistito ai fatti o la vittima possono temere ritorsioni da parte dei membri della Polizia e della Magistratura,
  • la vittima potrebbe nutrire il sospetto che i membri della Polizia o i Magistrati siano collusi con l’offender,
  • la persona che ha assistito o la vittima possono essere convinti che l’evento non costituisca un reato, ma sia indifferente da un punto di vista giuridico, o sia rilevante come illecito civile o illecito di altra natura,
  • la persona che ha assistito ai fatti o la vittima possono provare distanza, timore e diffidenza nei confronti delle procedure giudiziarie,
  • la vittima può provare il timore, o il sospetto, di non ottenere giustizia o non ottenere risarcimento del danno, restituzione o riparazione,
  • la vittima, specialmente la vittima di reati contro il patrimonio mediante frode o di reati a sfondo sessuale, può provare vergogna per i fatti. In particolare: la vittima può avere il timore di essere rimproverati o discreditati dalla propria cerchia sociale per avere subito certi reati.

Naturalmente, le ragioni che sono state esposte, non sempre hanno un fondamento sul piano di realtà e sono consistenti, molto spesso invece risultano essere il frutto di convinzioni ripetute, di percezioni errate, di luoghi comuni. In ogni caso si tratta di opinioni che debbono essere tenute nel dovuto conto: si tratta, infatti, pur sempre di rappresentazioni sociali che, in quanto tali, possono imprimere un assetto ed una configurazione di apparente verosimiglianza ai fatti della vita. 

Il compito di chi si occupa di questi problemi, a diverso titolo anche le associazioni di volontariato e le Onlus, è quindi quello di impegnarsi sempre di più nell’opera di erogazione di informazioni corrette, precise e accessibili alle vittime di reato e nei confronti della sensibilizzazione verso i cittadini rispetto ai problemi ed alle conseguenze sociali e personali derivanti dalla vittimizzazione.

Considerazioni conclusive circa le statistiche criminali

Date le sopraesposte coordinate di lettura nei confronti dei dati quantitativi emersi dal Dossier del Ministero dell’Interno, possiamo svolgere una considerazione di carattere conclusivo: questa volta organizzata sulla base di un registro di carattere qualitativo e generale.

Considerato sotto il profilo giudiziario il crimine rappresenta un dato di carattere formale: un costrutto derivante dall’incrocio di definizioni legali e di strutture giuridiche.

Sotto il profilo generale, per alcuni aspetti, il crimine non possiede una propria autonoma sostanza.

In altre parole:

  • il crimine non rappresenta solo un accadimento naturalistico (perlomeno è solo in apparenza un dato esclusivamente naturalistico): vi è infatti un’eccedenza di significati e di senso che trascendono il dato naturale e rendono il crimine un fenomeno multiforme dai contorni frastagliati, sfumati e mutevoli,
  • il crimine non ha una propria consistenza metafisica o ideale, e va considerato e studiato prendendo le distanze da presupposti ed assunti di carattere moralistico,
  • il crimine è privo di una propria struttura di carattere ontologico, ma deve essere considerato e studiato nell’ambito di uno scenario complesso che prenda in considerazione l’influsso delle forse vettoriali e delle interazioni provenienti dall’ambiente esterno.

Le considerazioni che sono state esposte – seppur solo apparentemente paradossali e controintuitive – possono proporci una mappa concettuale anche per leggere i dati esposti nel Dossier del Ministero dell’Interno, che veda il crimine da un punto di vista fenomenologico, come la risultante combinata dall’operare interattivo di diversi (anche eterogenei) vettori. 

Tali vettori sono innanzitutto da individuarsi nelle definizioni e nelle proceduralità giuridiche che tracciano i confini tra il lecito e l’illecito; nelle reazioni concrete degli organi deputati al controllo sociale ed alla repressione, che possono intervenire con maggiore o minore efficacia nella configurazione ed evidenziazione del crimine; ed infine, nella struttura culturale e sociale che può far emergere o meno la presenza o la rilevanza del crimine.

La struttura culturale e sociale, poi, in particolare, contiene la reazione degli osservatori del crimine, il cui atteggiamento e la cui condotta (anche negativa ed omissiva) può contribuire alla emersione del singolo episodio criminale.

La riprovazione sociale crea allarme e timore; l’allarme e il timore ottengono l’effetto di porre in primo piano – e talvolta di sovraesporre – il crimine come problema urgente.

Per contro una non-reazione o una reazione attenuata è in grado di porre l’evento criminale (e il fenomeno criminale) sullo sfondo, sino talvolta a considerarlo un fatto da tollerare o da obliare.

Questa dinamica si può riprodurre anche per quanto riguarda il versante della vittima: la sua reazione o la sua non-reazione nei confronti dell’offesa sono infatti in grado di condizionare la affermazione pubblica del fatto criminoso. 

Avv. Mauro Bardi – Comitato Scientifico ANCDV

 

® RIPRODUZIONE RISERVATA

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