Criminalità delle città italiane

di Roberta Bravi, Presidente nazionale ANCDV

Nell'epoca in cui forma e sostanza si fondono in "percezione", in un contesto evolutivo di un Paese che mantiene netti confini geografici, politici e sociali, negli anni di fuoriuscita da una crisi mondiale pandemica e una crisi bellica che ancora si protrae - a partire dal 2020 - assistiamo ad un drastico mutamento dell'elemento sociale italiano. Negli ultimi tre anni, il tasso di criminalità del Paese è sceso di quasi 19 punti percentuali, con circa il 18,9% in meno di reati denunciati rispetto al precedente. Nonostante tale riduzione, la percezione dei cittadini sul tasso di pericolosità delle strade italiane non ha seguito la tendenza dei dati statistici e si mantiene elevato il timore di subire atti criminali. Contemporaneamente, si osserva un aumento esponenziale delle frodi informatiche, e in questo contesto aumenta il numero di donne che riconosce di vivere il timore, l'ansia e la paura concreta di subire violenze o soprusi.

Al di là dei dati annualmente forniti dalle indagini Censis e dal Viminale, ci si è spesso interrogati su quali fossero i reali effetti sulla percezione del rischio da parte dei cittadini a seguito delle stringenti restrizioni poste a contrasto dell'emergenza, nonostante una minore esposizione alla criminalità c.d. "di strada". I dati del triennio 2020-22 evidenziano una maggiore preoccupazione in riferimento alle così definite "categorie deboli". Nello specifico, qual è lo stato attuale di sicurezza - reale e percepita - che le donne vivono all'interno del nostro Paese? Ad esempio, tale status incide sull'ulteriore problematica italiana del gap di genere? Qual è il reale livello di qualità della vita all'interno dei diversi territori italiani?

La sicurezza era - e resta - uno dei principali bisogni dell'essere umano, già posto alla base della propria piramide dei bisogni dallo Psicologo Abraham Maslow, e rappresenta un indice significativo di salubrità di un territorio nonché di coesione di una comunità.

È su questi aspetti che si sviluppa l'approfondimento tematico qui esposto, all'interno del quale l'esperto criminologo e teorico, Dr. Francesco Caccetta, e il suo allievo, esperto di sicurezza e saggista Francesco Ciano - entrambi membri del Comitato Scientifico ANCDV - analizzano i dati 2022 forniti dal Viminale e pubblicati da "Il Sole 24 Ore". Luci ed ombre di un dato oggettivo rappresentato dalle denunce di reato effettivamente giunte agli uffici ministeriali e il relativo tasso di pericolosità delle diverse città italiane, evidenziando gli aspetti culturali e criminologici del fenomeno, in un contesto socio-economico profondamente mutato dalla crisi pandemica vissuta e che interessa le intere comunità, a partire dai loro consociati, i rispettivi amministratori delegati, le forze dell'ordine incaricate e il decisore pubblico preposto alle azioni di prevenzione e repressione del crimine.

Buona lettura

 

Indice della criminalità 2022: le città più pericolose d’Italia

di Francesco Ciano, Comitato Scientifico di ANCDV

 

È stato pubblicato l’Indice della criminalità 2022 che offre una panoramica sul livello di sicurezza di 107 province italiane. Il maggior tasso di criminalità è stato misurato come sempre in base alle denunce sporte nel 2021 in riferimento a 18 tipologie di reato.

L’indicatore, viene utilizzato anche nell’indagine annuale sulla qualità della vita. Le informazioni cui attinge vengono estratte dal database interforze del dipartimento di Pubblica Sicurezza (ministero dell’Interno). In dettaglio, le informazioni sono fornite da Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Polizia municipale, Direzione investigativa antimafia, Polizia provinciale, Guardia costiera e Corpo Forestale.

Le classifiche non sono basate su numeri assoluti, ma si riferiscono al numero di denunce presentate ogni 100mila abitanti.

Secondo i dati emersi, i complessivi reati commessi e denunciati risultano in calo dell’8,7% rispetto al 2019: questa media nazionale varia notevolmente in base agli scenari locali.

Quali sono le città più pericolose d’Italia?

Indice della criminalità 2022: le 10 città più pericolose d’Italia

Tra le 107 province italiane analizzate, ecco le top 10 della classifica nera, le città più pericolose individuate nell’Indice della criminalità 2022:

  • Milano:749 reati denunciati in un anno (5.985 ogni 100mila abitanti). E’ prima in Italia per furti, furti con destrezza e negli esercizi commerciali;
  • Rimini:538 reati, 5.502 ogni 100mila abitanti. Ha il primato per le rapine (444) ed è seconda in classifica per i furti (oltre 9.000);
  • Torino: oltre 111.500 denunce, circa 5mila ogni 100mila abitanti. Si posiziona quarta per i furti (più di 44mila) ed è seconda per i reati informatici dopo Gorizia (circa 16.500 denunce di frodi, 740 ogni 100mila abitanti);
  • Bologna:559 denunce, poco meno di 5mila ogni 100mila abitanti. E’ seconda in classifica per episodi di violenza sessuale (195) e al quarto posto per i furti (che hanno coinvolto mediamente 2 abitanti su 100;
  • Roma: 205mila denunce (4.856 ogni 100mila abitanti). Le maggiori criticità della Capitale sono i furti (è terza in classifica con oltre 102 mila denunce), soprattutto i furti con destrezza e gli scippi (quinta con 1.529) e le rapine (risulta quarta con 2.500). Roma registra anche un notevole traffico di stupefacenti;
  • Imperia:917 denunce, 4.755 ogni 100mila abitanti. Sono stati rilevati 3 omicidi volontari, è terza in classifica per le violenze sessuali (34) dopo Bologna e Trieste; 
  • Firenze: 028 denunce (4.727 ogni 100mila abitanti). I reati più diffusi sono furti, rapine e irruzioni nelle abitazioni e risulta 14° sul fronte degli stupefacenti;
  • Prato:660 denunce, oltre 4.400 ogni 10mila abitanti. E’ terza in classifica per gli omicidi volontari (4) e quinta per i tentati omicidi (10): emerge anche per le rapine, soprattutto furti con strappo (78 denunce, 30 ogni 100mila abitanti);
  • Livorno:956 denunce, 4.271 ogni 100mila abitanti. Estorsioni (77, è al 4° posto) e furti (8° posto), in particolare furti negli esercizi commerciali (oltre 500, 153 ogni 100mila abitanti) sono i reati più diffusi;
  • Napoli:119 denunce, 4.217 ogni 100mila abitanti. Emergono contrabbando, furti con strappo e di motocicli, due tipi di reato per cui è 1° in classifica.

Indice della criminalità 2022: calo generalizzato dei reati con qualche eccezione

Rispetto al 2019, i dati del 2021 oggetto dell’Indice della criminalità 2022 riportano un calo generalizzato dei reati nelle aree metropolitane. Ad esempio, si registra un -11,8% a Milano, un -6,8% a Roma, -24,6% a Firenze, -17,8% a Venezia e -15,3% a Bologna. E’ in queste città che la flessione risulta più marcata.

I dati, in effetti, non sorprendono considerando le restrizioni per l’emergenza sanitaria Covid-19 scattata nel 1° trimestre 2021. Tutto è stato limitato e notevolmente ridotto: flussi turistici, circolazione, attività degli esercizi commerciali, eventi.

In controtendenza alcune città che hanno visto aumentare i reati:

  • Piacenza con un incremento dell’11,7% (circa 10mila denunce) che riporta primati negativi per rapine in casa e omicidi stradali (2° in classifica) senza contare le violenze sessuali anche su minori di 14 anni (11°);
  • Isernia, dove le denunce rispetto al 2019 sono salite dell’8,8%: spiccano omicidi stradali, associazioni per delinquere e incendi (3°);
  • Rieti con un +5,9%.

I primati nella classifica nera

Milano è prima in classifica per furti (2.943 denunce ogni 100mila abitanti), soprattutto furti con destrezza, negli esercizi commerciali e sulle auto in sosta. 

Napoli primeggia per i furti con strappo, Rimini per le rapine, Torino per le rapine negli esercizi commerciali.

Ai primi posti per le rapine in banca troviamo Ravenna, Teramo e Catania, mentre per i furti di motocicli troviamo Napoli, Genova e Palermo.

Barletta-Andria-Trani, Foggia e Napoli sono prime in classifica per i furti di auto. Napoli risulta prima anche per numero di omicidi volontari, Isernia per gli omicidi stradali.

Riguardo ai furti in abitazione il podio spetta a Ravenna, Pavia e Pisa.

Diamo uno sguardo ad altri tristi primati di criminalità in Italia:

 

  • Trieste, violenze sessuali;
  • Pesaro Urbino, violenze sessuali ai danni di minori di 14 anni;
  • Biella, estorsioni;
  • Ragusa, usura;
  • Isernia, associazione a delinquere e contraffazione di marchi e prodotti industriali;
  • Napoli, associazione di tipo mafioso e contrabbando;
  • Foggia, riciclaggio di denaro;
  • Gorizia e Torino, reati di tipo informatico;
  • La Spezia, spaccio di stupefacenti;
  • Venezia, Genova e Trieste, pornografia minorile e sfruttamento della prostituzione minorile;
  • Enna, omicidi volontari.

 

Criminalità in Italia: dati in aumento nel 1° semestre 2022

Nonostante il calo generalizzato dell’8,7% rispetto al 2019 registrato nel 2021, a giudicare dai dati del primo semestre 2022 si registra una ripresa con un incremento delle denunce nelle metropoli italiane tranne Torino, dove i reati sono diminuiti.

Riguardo alla prima in classifica (Milano), come ha spiegato Marco Granelli, assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, prevalgono i reati da strada (anche aggressivi) che si commettono nelle aree della movida, negli esercizi commerciali o sui mezzi pubblici.

Granelli ha ricordato la richiesta da parte del Comune di 255 tra poliziotti e carabinieri che è stata accolta: “stiamo assumendo 500 poliziotti locali, di cui 108 entreranno in servizio da novembre”.

Le forze di Polizia e lo stesso Granelli invitano i cittadini a denunciare sempre per consentire interventi adeguati e l’attivazione di indagini mirate.

 

Ritorno al futuro del Controllo di Vicinato

di Francesco Caccetta, Comitato Scientifico di ANCDV

Nessun uomo è un’isola...” John Donne

“No Man is an Island" è un estratto da un’opera scritta da John Donne. L’autore, sostiene che ogni essere umano è connesso a ogni altro essere umano paragonando l'umanità stessa a una vasta massa continentale. Nessuno è “un'isola” nel senso che nessuno è separato da questo metaforico “continente”; solo per il fatto di essere umani, ognuno fa parte dell'umanità. Questo fantastico scrittore esalta l'importanza della connessione e della comunità. Il continente umano è costituito da singoli appezzamenti di terra che rappresentano singole persone. Quando tutte quelle "zolle" si uniscono, formano qualcosa di più grande e più forte di loro. Da sola, una zolla potrebbe "essere spazzata via dal mare". La metafora di Donne ci ricorda che le persone sono creature sociali e che nessuno può essere veramente autosufficiente; le persone hanno bisogno l'una dell'altra e sopravvivono meglio insieme che separate. Poiché le persone sono tutte connesse, continua Donne, ciò che accade a un singolo individuo colpisce tutti gli altri. La perdita di una singola "zolla" diminuisce il continente metaforico dell'umanità. Fondamentalmente, Donne sta insinuando che nessuno è sacrificabile. Chiunque sia veramente "coinvolto" con l'umanità è direttamente influenzato dalle cose che accadono ad altri esseri umani. John Donne recita: "La morte di ogni uomo mi diminuisce" e ci dice di non chiedere "per chi suona la campana" (Il pensiero di Donne fu poi ripreso da Ernest Hemingway in “Per chi suona la campana” nel 1940). Cioè, non abbiamo bisogno di chiedere per chi sta arrivando la morte, perché arriverà per tutti . Con questo, ci invita a riflettere sul fatto che le persone dovrebbero gioire dell'essere vivi e, mentre sono in vita, accettare di far parte della più ampia famiglia umana. “La metafora utilizzata dal poeta cinquecentesco è ormai entrata nel linguaggio comune ed è scolpita nelle nostre menti come una certezza ineludibile: Nessun uomo è un’isola, una verità sociologica e antropologica, talmente inoppugnabile da diventare un assioma scientifico”[1]. John Donne tramite l’affermazione “Nessun uomo è un’isola” ci ricorda il senso di comunità che nel corso della Storia abbiamo più volte dimenticato. L’individualismo, che ormai permea tutte le società occidentali, ci sta facendo regredire al vecchio, e ai più sconosciuto, stato di natura di Hobbesiana memoria.

La Sicurezza è uno dei temi che da sempre ha tenuto insieme gli italiani, sia quelli del popolo, sia i rappresentanti politici. Le campagne elettorali hanno sempre brillato nell’astro della Sicurezza e della paura del crimine, proponendo, da tutti gli schieramenti politici, soluzioni al problema più o meno fantasiose e apparentemente semplici da realizzare (ma non ancora realizzate). Gli esiti li vediamo nella produzione abbondante di dati statistici che ci informano, ogni anno, delle tendenze criminali e della cosiddetta “Sicurezza” nel nostro Paese. La lettura di questi dati, se da una parte invece di rassicurare, impressiona e preoccupa, dall’altra parte illude e disorienta. Vediamo Regioni italiane con esponente crescita di reati predatori e/o a sfondo sessuale, truffe informatiche e quelle note come truffe agli anziani (che in realtà sono anch’esse reati predatori traducibili in furti con destrezza o rapine) e altre Regioni dove gli stessi reati diminuiscono. Quali sono le cause di queste divergenze statistiche, o meglio, quale chiave di lettura possiamo dare a questi dati? Senza nulla togliere alla veridicità di questi numeri, frutto di analisi puntigliose dei vari Istituti a ciò preposti, sulla cui serietà nulla quaestio, proviamo a ragionare lontani dalle mere statistiche. L’Italia, come la immaginiamo da prima del 1860, per alcuni versi non è molto cambiata, ogni territorio presenta caratteristiche diverse e anche le tipologie di reato, la propensione alle denunce e la risposta degli abitanti in termini di partecipazione alla prevenzione, cambiano da luogo a luogo. La criminologia ci viene in aiuto. Ciò che la distingue dalle altre scienze sociali è l’ampiezza del campo di indagine, poiché non è preso in considerazione solo il crimine, ma anche tutto ciò che gira attorno ad esso (autore del reato, fattori ambientali, reazione sociale, le vittime, i fenomeni di devianza, ecc.). È una scienza teorica e pratica allo stesso tempo, poiché si pone come obiettivo la ricerca di rapporti causali, correlazioni e variabili nella sua osservazione. La criminologia si avvale degli studi antropologici e sociologici per individuare le cause del crimine. Gli studi antropologici riguardano i fattori organici, psicologici, motivazionali, psicosociali che possono aver indotto il comportamento di chi ha commesso il crimine, studiando anche i fattori microsociali nei quali la personalità si è sviluppata. Nel campo della sociologia, invece, si valutano i fattori macrosociali che da sempre, sono riconosciuti come basi dell’emersione criminale. La perpetrazione del crimine, varia moltissimo nel nostro territorio nazionale e le motivazioni sono diverse e impossibili da elencare in questo lavoro e suggerisco per gli opportuni approfondimenti, la lettura di un buon manuale di Criminologia generale. Le teorie sociologiche che possiamo ritenere fondamentali sono le seguenti:

  • L’anomia
  • Le dinamiche di disorganizzazione sociale
  • Il deficit di socializzazione
  • Il deficit di mezzi per raggiungere le mete sociali
  • Le associazioni differenziali e l’apprendimento del crimine
  • Le opportunità differenziali
  • La Scuola di Chicago e l’influenza della città sul crimine

In conformità a queste teorie, possiamo comunque dedurre che le principali dimensioni criminologiche dello street crime, come ci ricorda il criminologo Marco Strano[2] possono essere così riassunte:

  • Nell’ambito della criminalità predatoria di strada possono includersi atti criminali di diversa natura e di diversa gravità;
  • Tendenzialmente il danno subito dalle vittime è assai maggiore di quello immaginato dalle strutture istituzionali tradizionali;
  • Esiste una forte correlazione di queste forme criminali con situazioni di disagio sociale, esclusione e anomia;
  • Assenza, nella maggior parte dei casi, di una qualsiasi relazione di conoscenza pregressa tra autore e vittima antecedente al fatto criminale;
  • Alta recidiva degli autori di questo genere di crimine;
  • Grande variabilità nelle caratteristiche degli autori sia in termini di età sia di spessore criminale e di ceto;
  • Elevato numero oscuro: mediamente solo il 35,7% di questo genere di reati (consumati e tentati) è riportato alle forze dell’ordine. Il numero oscuro ovviamente varia secondo il tipo di reato, delle caratteristiche culturali della vittima e dell’entità del danno sia economico che fisico provocato.

Tali caratteristiche dovrebbero rappresentare la base conoscitiva di partenza per attivare iniziative di prevenzione e di repressione di questi fenomeni. La recente pandemia ha risvegliato l’individualismo nel nostro Paese e da questo ne traggono vantaggio tutte le forme di criminalità. Le soluzioni al problema purtroppo sono complicate e dovrebbero essere studiate dagli addetti ai lavori, quindi, dal Parlamento e dalle forze di polizia. Resta comunque valido il concetto di sicurezza partecipata che relega al semplice cittadino una parte del lavoro per riuscire a rendere meno facile la commissione dei reati nel territorio di appartenenza. Le tecniche individuate dal progetto del controllo di vicinato possono senza dubbio concorrere al risultato finale. Nei primi anni duemila, ho personalmente studiato il fenomeno dei reati predatori, al fine di diminuire la commissione degli stessi, individuando nel cittadino/vittima l’elemento principale per impedire ai ladri di agire indisturbati. Il primo studio permetteva la realizzazione del “Progetto prevenzione furti” agilmente adattato dagli abitanti di alcune realtà del litorale romano e in seguito in un territorio dell’Umbria. I risultati apparivano da subito incoraggianti con un crollo dei furti e delle truffe nei luoghi sopra indicati. La successiva fase consisteva nell’integrare il progetto con le teorie dei Neighbourhood Watch e l’adozione del relativo cartello di segnalazione apposto nelle vie dove il programma veniva adottato, con i suggerimenti e le idee di Gianfrancesco Caccia e Leonardo Campanale. La partecipazione dei semplici cittadini alle pratiche di “Sicurezza” non entusiasma le Istituzioni che ne temono (a volte giustificate) escalation pericolose e fuori controllo. Questa previsione non è completamente errata poiché il controllo sulle persone che assumono cariche all’interno dei gruppi spontanei di controllo di vicinato, non è agevole e spesso non realizzabile. Non sono state poche le situazioni che, nel corso di questi ultimi anni di sperimentazione del progetto, hanno dato luogo a improvvisazioni molto vicine alla deriva delle ronde. Il differente approccio di alcune Prefetture che non consentiva la nascita e lo sviluppo del progetto in alcune zone della Nazione testimonia questa condivisibile supposizione. Il venir meno delle aspettative di supporto da parte delle Istituzioni (prefetture e forze dell’ordine, comprese alcune Polizie locali) scoraggia le aggregazioni dei cittadini e di conseguenza impedisce la diminuzione dei reati in alcuni territori e la conseguente coesione sociale tra gli abitanti, danneggiando lo stesso concetto di sicurezza partecipata. Come si può partecipare se si smorza ogni entusiasmo? La società cambia continuamente e, per questo, cambiano anche i comportamenti delle persone, passando da stimolanti iniziative di compartecipazione a ritiro sociale e paura del prossimo. Il controllo di vicinato limita questi comportamenti e regola la paura, puntando sul “mal comune mezzo gaudio” e sul mutuo soccorso. Crediamo che in questo momento storico dovremmo smetterla di guardare ai numeri delle statistiche dei reati, tornando, invece, al concetto di resilienza e comunità. Sono sempre stato convinto che il supporto delle Istituzioni sia importante per la completa realizzazione del progetto, ma non indispensabile. Il controllo di vicinato o meglio la “comunità di vicinato” (cit. Leonardo Campanale) può ritrovare il giusto input per ricominciare a pensare a una comunità coesa e impenetrabile adottando gli sperimentati metodi di self protection che sono stati insegnati dalle associazioni di controllo di vicinato. La coesione sociale, l’eliminazione delle proprie vulnerabilità ambientali e comportamentali e il corretto supporto alle forze dell’ordine con segnalazioni qualificate, fa dei cittadini uno scudo contro i delinquenti incursori dei nostri territori. Tutto questo, con il chiaro e inderogabile concetto che la persecuzione dei rei rimanga di esclusiva competenza delle forze dell’ordine e di nessun altro. Allargare le “competenze” e i compiti degli aderenti al progetto del controllo di vicinato con argomenti di Sicurezza e di natura penale, confonderebbe le persone, renderebbe difficile l’approvazione da parte delle stesse Istituzioni e comporterebbe inevitabili ostacoli e fallimenti del programma. La parola d’ordine, in questo caso, è: Rientrare nei ranghi, che significa decidere in qualche modo di assoggettarsi nuovamente alle regole che gerarchizzano l'insieme ordinato di cui si torna a fare parte. Stare al proprio posto vuol dire, anche, occupare una precisa, e certa, posizione. Non guardiamo più i numeri delle statistiche, non ci improvvisiamo soldati e non scimmiottiamo le forze dell’ordine. Il controllo di vicinato dovrebbe tornare agli albori che lo hanno visto come un valido progetto di sicurezza partecipata, con l’umiltà di chi vuole servire il prossimo e aiutare gli enti legittimamente preposti alla salvaguardia delle libere Istituzioni, senza sostituirsi a esse e senza volerne a tutti i costi un riconoscimento ufficiale. Come più volte nel corso di questi lunghi anni dalla nascita del controllo del vicinato, torno a ricordare il concetto di partenza del sodalizio, elegantemente espresso da Robert Putnam: “farò questo per te senza attendermi in cambio nulla di preciso, nella fiduciosa prospettiva che qualcun altro, strada facendo, farà qualcosa per me”. Niente di più.

 

[1] Alice Figini https://www.sololibri.net/nessun-uomo-e-un-isola-significato-john-donne-poesia.html

[2] “Street Crime – Criminologia prevenzione investigazione”, a cura di Marco Strano, Francesco Caccetta e altri, Roma 2017

 

 

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